Il Vinyasa Yoga, come affrontare il flow, metodo modernyoga.

vinyasa manuale yoga rimini

Tratto dal Manuale di Simone Faedi – Vinyasa Yoga Metodo Modernyoga – Manuale di pratica.

Questo breve articolo ha lo scopo di fornire alcuni spunti ai praticanti di Yoga dinamico, nello specifico ciò che oggi va sotto il nome di Vinyasa Flow Yoga. Premetto che lo Yoga è sempre Yoga, in qualsiasi forma lo pratichiate e lo interiorizzate. Il Vinyasa è semplicemente una tecnica con cui si affronta la sconfinata famiglia di pratiche dell’Hatha Yoga, in relatà è più di una tecnica, ma per il discorso che andiamo ad afforntare in questo articolo limiteremo la visione appunto alla tecnica. Tecnicamente oggi traduciamo Vinyasa con il termine “azione in sincronia col respiro”, pur essendo una traduzione molto limitata di ciò che si intende per Vinyasa, può essere sufficiente a capirne l’approccio nello Yoga del movemento del corpo. Quindi il Vinyasa impone una respirazione profonda in sincronia con il flusso delle asana (posizioni) che possono essere più o meno sfidanti per il corpo. Già questa implicazione risulta estremamente complessa quando applicata alla pratica, eppure è la base per comprendere davvero cosa sia un “rituale” di Vinyasa come lo intendeva Krishnamacharia. Utilizzeremo degli estratti del manuale di pratica di ModernYoga Vinyasa redatto da Simone Faedi.

<Da ModernYoga Vinyasa Manuale di pratica>

Vinyāsa (/vɪnˈjɑːsə/ vi-NYAAH-sa;Sanskrit: विन्यास)

Il termine vinyāsa può essere diviso in due radici sanscrite per individuarne il significato. Nyasa significa “mettere/sistemare” e vi significa “in maniera particolare/precisa/speciale”.  Come molte parole sanscrite, vinyāsa è un termine che può avere molti significati.

(tradotto liberamente da Wikipedia)

Questo “sistemarsi in maniera speciale” è anche l’inserire sezioni dinamiche all’interno delle sequenze di asana (posture statiche) o anche Pranayama (sistemi di respirazione) . Al di là della definizione letterale col temine Vinyasa oggi vengono indicate diverse cose:

  1. Il movimento legato al respiro;
  2. Sequenze di movimenti (col respiro) che uniscono posture (asana). Ad esempio nella pratica dell’Ashtanga Vinyasa Yoga di Pattabhi Jois nelle posture tenute a terra, terminato lo stazionamento di 5 respiri in una data asana, è tipico fare un cosiddetto Vinyasa cioè: (samastitihi) salto indietro, piegamento, cane faccia in su, cane faccia in giu, salto in avanti, (samastitihi);
  3. Il conteggio di ogni inspiro ed espiro per raggiungere una postura specifica nell’Ashtanga Yoga ed in generali negli stili da esso derivanti;
  4. Stili di Yoga che prevedono sequenze in movimento.

Un tipico esempio dell’uso del Vinyasa (movimento e respiro coordinato) è quello che possiamo trovare nel Surya Namaskara (il saluto al sole) dove nel modo usato nell’Ashtanga Vinyasa Yoga (saluto al sole A o B), le posture o i gesti di passaggio hanno la durata di un inspiro o espiro, con la presenza di salti, oltre ad un’Asana invece che viene mantenuta per più respiri (il saluto al sole comunque con piccole differenze viene proposto anche nell’Hatha tradizionale con la medesima logica del Vinyasa).  Si tenga presente comunque che il saluto al sole coordinato dal Vinyasa ha radice Tibetana, molto prima della codifica dell’Ashtanga Yoga.

Per capire veramente cosa il Vinyasa rappresenta, la fonte più autorevole cui attingere per noi occidentali è senza dubbio il Maestro Krishnamacharya, forse il più importante Maestro per la comprensione dello Yoga contemporaneo (Maestro di Pattabhi Jois, il creatore dell’Ashtanga Yoga e di B. K. S. Iyengar ). I contributi in questo senso sono molteplici e ne accenneremo nella parte storica, per ciò che riguarda la tradizione del Vinyasa proviene senza dubbio dallo Yoga Tibetano/Kashmiro di matrice Tantrica, dove il movimento associato al respiro è alla base di molte pratiche (si vedano i 5 Riti Tibetani o quello che viene definito Yantra Yoga).

L’idea di Krishanamacharia del Vinyasa era diversa da quella che oggi è consueta in occidente, non che quella occidentale sia errata nella sostanza, ma al momento attuale tende ad incorporare solo il movimento ed il corpo fisico, mentre quella originaria aveva un contesto molto più articolato perpetuando l’applicazione degli otto rami degli Yoga Sutra di Patanjali[1].


[1] Yoga Sutra di Patanjali” è una raccolta di versi scritti tra il II A.C. e il IV D.C. che sono la base dello Yoga Classico come oggi lo intendiamo, suddiviso in 8 rami (ashtu-anga): comportamenti verso sé stessi e gli altri, posture, respirazione, ritiro dei sensi e tre stati interiori chiamati concentrazione, meditazione ed enstasi.


Il Vinyasa come consapevolezza in movimento, l’approccio al metodo M.Y.V.

Alla domanda quale sia la maniera corretta di afforntare le asana o una sequenza durante la pratica spesso si sente parlare di allineamenti, attivazione dei bandha[2], progressione e coerenza della funzionalità delle posizioni. Tutte cose assolutamente  corrette, tuttavia a volte si dimentica il passaggio fondamentale dell’approccio allo Yoga e alle cose della vita in genere: la consapevolezza, l’intenzione con cui si svolge un compito.

L’intenzione consapevole contraddistingue l’atto dello Yogin da quello comune, cioè, un atto compiuto con la conoscenza delle implicazioni energetiche, morali, funzionali/fisiche, possiede un potere enorme. In conseguenza di questa affermazione risulta evidente che l’efficacia non dipende tanto dal cosa si fa, ma il come agisce la nostra consapevolezza in quel gesto a prescindere dalla natura tecnico pratica del gesto stesso.


[2] Bandha letteralmente significa chiusura in sanscrito, sono dei punti del corpo fisico corrispondenti a chakra, di solito il primo, il terzo ed il quinto, nei quali, attraverso la pressione muscolare si produce una depressione/chiusura che ha lo scopo di non fare fuoriuscire l’energia contenuta in quel punto verso l’esterno.


Così possiamo applicare questa formula alla posizione fisica dell’asana, non conta quanto estrema, acrobatica o “semplice” sia la nostra asana, o quanto la nostra apnea sia polungata o corta, conta l’approccio mentale ed intenzionale del praticante a quella data azione. L’azione dello Yogin è mirata al miglioramento personale, al benessere fisico e mentale, alla liberazione. Se lo Yogin approcciasse la sua azione allo scopo di avere la “tartaruga addominale” o il “gluteo scolpito” non farebbe niente di male, ma oltre ad essere fuori dalla logica dello Yoga, depotenzierebbe immensamente la sua azione, operando nell’incosapevolezza.

Non siamo nè bravi, nè  scarsi, siamo e basta.

Questo approccio nel concreto della pratica delle asana, si traduce in efficacia dell’azione sul proprio corpo e soprattutto nell’evitamento di traumi e dolori per avere “tirato” troppo l’asana, oppure non ricevere nessun benificio dalla pratica perché convinti di non riuscire a fare la posizione “come dovremmo farla” e quindi rinunciado all’azione. La stragrande maggioranza dei danni fisici provocati dalla pratica sono correlati proprio a questo atteggiamento purtroppo. La prima regola per ogni praticante e insegnante è il rispetto delle prerogative di ognuno e il preservare i corpi dai danni di una ricerca morbosa dell’asana “perfetta” nella performance, atteggiamento assolutamente fuori dallo Yoga.


Dunque è necessaria pazienza, costanza ed ascolto del prorpio corpo, alla ricerca di silenziare la mente in tutti i suoi input ingannevoli come il velo di maya nella nostra realtà. Non ce la faccio, non sono al livello della classe, dovrei praticare tutti i giorni altrimenti non sono bravo, sono tutti atti ingannevoli della nostra mente, solo l’ascolto silenzioso del nostro corpo e la guida ferrea e produttiva della nostra mente (buddi) ci porterà ad una corretta azione nella nostra pratica quotidiana di asana, ma soprattutto nella vita.

Simone Faedi

Yoga pratico, per superare i tuoi limiti devi prima conoscerli.

Capita spesso di sentire nelle classi di Yoga, o più in generale nella vita, la frase: “voglio superare i miei limiti”, sembra diventato il vero mantra del XXI secolo, una continua rincorsa al “super”. Partiamo da un presupposto, spesso sono i nostri limiti ad identificare la nostra natura, infatti sono proprio i “limiti” a definire i nostri parametri esistenziali. Una vita senza limiti, sarebbe immortale e immorale, quindi filosoficamente e praticamente, non sarebbe una vita, essendo immortale, ma apparte questo assunto su cui bisognerebbe aprire un capitolo apparte, basta rimanere sulle cose semplici che tutti i giorni facciamo. Molto spesso pensiamo che il nostro limite sia superare una data barriera di tempo, di peso sollevato, di secondi stati in apnea, eppure stiamo facendo una cosa che ci piace, ci da gusto, ci sembra ci rappresenti. E’ evidente che facendo una cosa che è nella nostra comfort zone non stiamo superando nessun limite, eppure, siamo convinti di farlo. L’indulgere nelle cose che ci piacciono e portarle al parossismo Carlos Castaneda ci direbbe che è un atteggiamento morboso che non aggiunge niente al nostro percorso iniziatico, anzi, lo blocca. Nello Yoga si dice che attraverso la pratica costante (di tutto lo Yoga, non solo delle asana) si raggiungono dei “poteri”, siddi, come l’ubicuità  o l’invisibilità ad esempio, tuttavia gli yogin sono esortati a non indulgere in questi “poteri”, perchè semplicemente conseguenze dell’evoluzione dello Yogin che comunque mira alla liberazione, non certo ai poteri. Indulgere in questi siddi, quindi ci blocca, anche se camminassimo sulle acque, non avremmo raggiunto nulla di significativo per il nostro percorso esistenziale. Molto spesso anche incosapevolmente cadiamo in questo circolo vizioso di insistere, forzare (un’asana, una meditazione, un rapporto personale), convinti di superare un limite, mentre invece stiamo solo alimentando il limite stesso. Mi vengono in mente allievi che nelle classi di Yoga spingono le asana “sfidanti”  perchè magari particolarmente atletici, convinti di superare chissà quale limite, poi messi in shavasana (la posizione stesa a terra del cadavere) non riescno a stare immobili per più di 30 secondi, ovviamente non riconoscono un limite nel fatto di non riuscire a stare immobili e concentrati, perchè fissati sulla performance, il loro autentico limite. Spiegare a se stessi che il superare i propri limiti è mettersi in discussione e non indulgere in ciò che ci viene bene, è la vera sfida di qualsiasi percorso iniziatico, quale lo Yoga può essere. Se toccare qualcuno che non conosciamo ci mette a disagio, quella è una sfida da superare, anche semplicemente abbracciare uno sconosciuto può essere superare un limite, non fare meglio ciò che già si fa bene, o che sentiamo come “nostro”. Quando una cosa ci riesce, dovremmo andare verso la comprensione di ciò che ci manca, che ci completa, non indulgere in quel loop creato dal merito che noi stessi o l’ambiente intorno a noi ci ha dato. Ognuno di noi può essere qualsiasi cosa, basta non confondere ciò che siamo con ciò che facciamo.

Cesena Vinyasa Yoga Workshop su balance apertura anche e salti 10 Marzo 2019

Workshop dedicato alle tecniche di balance su piedi e mani (sollevamenti e verticali), apertura delle anche attraverso i passaggi in extrarotazione del femore e salti in avanti e indietro (Jump back) per l’utilizzo nel vinyasa flow e nell’ashtanga ed in genere nello yoga dinamico. Info yoga@modernyoga.it tel. 348 4088442

Come sempre le nostre iniziative sono multilivello, aperte a tuti i praticanti, anche a chi vuole iniziare ad avvicinarsi al mondo dello Yoga dinamico.

Istruttori

Simone Faedi
Luca Bersani

Presso:

Centro Yoga Le Vie del Dharma

Via Savona 66, 47522 Cesena